La malattia del mondo. In cerca della cura per il nostro tempo by Francesco Borgonovo

La malattia del mondo. In cerca della cura per il nostro tempo by Francesco Borgonovo

autore:Francesco Borgonovo [Borgonovo, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Cultural & Social, Nonfiction, General, Social Science, Social & Cultural Studies, Anthropology
ISBN: 9788851183011
Google: rhvsDwAAQBAJ
editore: UTET
pubblicato: 2020-06-29T22:00:00+00:00


7

Un mare pieno di mostri

Sì, il mare può essere una prigione, un luogo oscuro in cui vivono mostri terribili, esseri che nei giorni bui del coronavirus sono emersi ruggendo. Un uomo aveva visto e raccontato queste bestie terrificanti e ancestrali. Il segreto di quest’uomo affiorava dagli occhi. «Le persone dagli occhi marroni», scrisse David Herbert Lawrence, «sono, si direbbe, simili alla terra, che è un ordito di vita passata, organico e composito. Negli occhi marroni ci sono il sole e la terra e l’ombra e le zolle rotonde. Ma negli occhi azzurri ci sono soprattutto gli elementi increati, astratti: l’acqua, il ghiaccio, l’aria, lo spazio, ma non l’umanità.» Herman Melville aveva gli occhi azzurri. Melville, diceva ancora Lawrence, «possiede la strana e inquietante magia delle creature marine, e anche un po’ della loro ripugnanza. Non è un animale del tutto terrestre. Ha qualcosa di scivoloso. Qualcosa di sempre indeterminato. Mentre era in vita lo si fece passare per mentecatto o per pazzo. Non fu né l’uno né l’altro, ma travalicò i limiti. Era, per metà, un animale acquatico, come quei terribili vichinghi dalla barba gialla che emersero dalle onde con le loro navi rostrate».

Sì, Herman Melville superò i limiti, e i suoi occhi acquatici gli permisero di gettare uno sguardo sul futuro. Dal 1851 la sua vista giunse a esplorare i giorni nostri, e li restituì sotto forma di romanzo – l’immenso Moby Dick – che contiene abissali verità sull’umanità moderna, la nostra. Era in effetti un vichingo, Melville. Jean Giono (che nel suo amore per la natura selvatica e gli alberi fu a tutti gli effetti uno scrittore “di terra”) lo descrive nello splendido Melville. Un romanzo: «Era un uomo di un metro e ottantatré con sessantasette centimetri di spalle», racconta. «Il suo volto un po’ allungato ma piuttosto largo era come dev’essere quello di un uomo di mare, segnato da zigomi squadrati, con una sottile piega delle guance verso la bocca. Capelli scuri con grandi onde di un ramato più chiaro ne ricoprivano il capo, scendendo ben sotto la nuca, tenuti in ordine usando le dita come pettine, tranne che per due alette ribelli color nero corvino che s’incurvavano all’indietro su ogni tempia, robuste e rigide come due vere ali. Tra queste ali, sotto la fronte liscia, vellutata e ricurva come il pancino di una bambina, dormivano i suoi occhi grigio-blu, un po’ sperduti, ben protetti da una grande arcata e da lunghe ciglia, e a volte sotto gli ordini del cuore, si coprivano di uno smalto azzurro terso, quasi opaco come il cielo sotto il grande sole di agosto.» Un vichingo, dunque, che si spinse fino ai confini estremi del suo tempo e dello spazio per vedere che cosa ci fosse oltre. Ne cavò l’opera terribile sulla grande balena bianca, che lui stesso definì «libro malvagio» (e vedremo perché).

Non ce la faceva a restare ancorato alla terra, Herman. Nacque nel 1819 a New York, figlio di un mercante (di nuovo, un uomo di viaggi, commerci, frontiere varcate). Era il terzo di otto figli, e proprio non riusciva a capire la matematica.



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